cosa chiediamo
La situazione climatica sempre più allarmante richiede una considerevole crescita della capacità di adattamento dei boschi ai cambiamenti in atto, per preservarne le funzioni ecosistemiche che si traducono in benefici per le comunità toscane. La nostra visione per i boschi toscani non vuole escludere la selvicoltura ma restituire dignità e resilienza agli ecosistemi forestali. Per farlo il WWF regionale ha stilato un elenco di 20 priorità che chiediamo alla regione di mettere in atto nel prossimo Piano Forestale regionale (PFR) e tramite un doveroso aggiornamento della normativa forestale regionale.
1. La politica forestale regionale deve includere la tutela dell’ambiente e del paesaggio
La normativa regionale forestale ed in particolare il suo regolamento di attuazione, oggi molto sbilanciata sulla valorizzazione economica delle foreste per la produzione di legna, deve conformarsi ai principi e alle norme internazionali, comunitarie, statali e regionali in materia di tutela dell’ambiente e del paesaggio ed abbracciare una visione più ampia del ruolo dei boschi toscani, riconoscendo non solo sulla carta le altre funzioni che tali ambienti possono fornire.
Il Piano Forestale regionale (PFR) attualmente in preparazione, strumento di indirizzo e attuazione delle politiche forestali regionali, dovrà avere obiettivi coerenti con la nuova visione delle foreste e prendersi carico degli impegni derivanti dalle strategie internazionali e comunitarie per il clima e la biodiversità, nonché degli indirizzi dello stesso Piano Paesaggistico regionale per gli ecosistemi forestali, concorrendo concretamente alla loro attuazione. Tra gli obiettivi del Piano Forestale regionale dovrà quindi esserci prioritariamente il miglioramento dei boschi regionali, tramite il riequilibrio della gestione forestale verso forme di governo e di economia diverse dal ceduo, oggi predominanti, e tramite l’adeguamento della normativa forestale regionale, come proposto nei punti successivi.
2. Arrivare al 50% di boschi di latifoglie ad alto fusto entro il 2030
In Toscana i boschi di latifoglie (che caratterizzano gran parte della superficie forestale regionale) sono gestiti in prevalenza a ceduo (70%) e solo per il 20% ad alto fusto; il rimanente 10% comprende altre tipologie colturali e boschi non o raramente gestiti.
Abbiamo visto come il ceduo, ed in particolare il taglio a raso del ceduo (con o senza rilascio di matricine), sia la forma più povera di gestione del bosco e più impattante in termini di qualità della biodiversità e dei servizi ecosistemici. Si tratta di una gestione anacronistica rispetto agli obiettivi climatici e a quelli di conservazione della biodiversità che l’Italia è tenuta a rispettare. Al bosco ceduo corrispondono boschi di scarso valore economico e prodotti legnosi altrettanto poveri (il valore economico del cippato e della legna da ardere è assai più basso rispetto a quello del legname da opera). La politica forestale regionale deve quindi promuovere, incentivare e sostenere la conversione ad alto fusto e la filiera bosco-legname-arredo, per contribuire maggiormente all’assorbimento di anidride carbonica (una fustaia “contiene” e assorbe annualmente molto più carbonio di un ceduo), per la conservazione della biodiversità, e soprattutto delle specie più sensibili ai cambiamenti climatici, e per la produzione di legno a maggiore valore aggiunto, necessario alle aziende di trasformazione, oggi altamente dipendenti da materiale proveniente da fuori regione. Per fare questo è necessaria anche un’opera di restauro forestale che arricchisca nuovamente i nostri boschi di specie forestali di elevato valore economico (farnia, rovere, farnetto, latifoglie minori come sorbo domestico, ciavardello, pero selvatico, melo selvatico, ciliegio ecc.)le quali sono state spesso penalizzate proprio dal governo a ceduo.
I prodotti legnosi durevoli (materiale edilizio, mobilio, pannellature, materiale tessile, materiali innovativi ecc.) hanno anche il vantaggio, rispetto alla legna da ardere e al cippato, di immagazzinare il carbonio per molti anni piuttosto che reimmetterlo subito in atmosfera con la combustione, contribuendo ulteriormente agli obiettivi climatici che anche la Toscana deve conseguire.
La trasformazione dei cedui in fustaie permetterebbe di migliorare quantitativamente e qualitativamente i servizi ecosistemici resi dal bosco e di valorizzare davvero le foreste, piuttosto che ridurle in cenere come avviene oggi. Chiediamo quindi di modificare la normativa forestale regionale e impostare il Piano Forestale Regionale affinché stabiliscano precisi obiettivi di avviamento all’alto fusto per i boschi di latifoglie attualmente governati a ceduo, riequilibrando l’insostenibile situazione attuale e arrivando come primo traguardo ad almeno il 50% dei boschi di latifoglie gestiti ad alto fusto entro il 2030.
Gli avviamenti dovrebbero interessare prioritariamente i cedui “abbandonati” ai sensi del Testo Unico Forestale (cioè quelli che hanno superato almeno della metà gli anni del turno minimo previsto dalla normativa), i boschi di particolare valore naturalistico (per presenza di aree protette, particolari microclimi, specie relitte o comunque rare, ecc.) e in generale dare attuazione ad obiettivi intersettoriali quali quelli del Piano paesaggistico regionale per il miglioramento ecologico degli ecosistemi forestali.
Riteniamo giusto ed equo stabilire dei criteri per l’avviamento all’alto fusto basati anche sulle estensioni delle proprietà forestali, fissando percentuali di conversione maggiori per le proprietà più grandi (50-100 ettari). Anche nei boschi di alto fusto dovrà essere evitato, se non in casi particolari (es. boschi di conifere alloctone), il taglio raso, preferendo interventi che garantiscano la continuità di copertura arborea e il mantenimento in bosco della provvigione minimale.
3. Mitigare gli effetti negativi del ceduo
Il disturbo causato dal taglio raso applicato nei cedui semplici e matricinati è paragonabile a un disturbo naturale catastrofico: la volta arborea viene eliminata per la quasi totalità su ampie superfici, il sottobosco (comprese tutte quelle specie arboree, arbustive e erbacee ritenute di scarso valore economico) subisce alterazioni importanti, l’ecosistema forestale regredisce e deve ripartire da zero per ricostituirsi. Con il ceduo queste “catastrofi” avvengono ogni 18-20 anni circa, impedendo al bosco di evolvere, riducendo la sua capacità di accumulare carbonio e biodiversità, e amplificando gli stress dovuti al cambiamento climatico.
Un aspetto che non possiamo più permetterci di sottovalutare riguarda infatti la forte sofferenza degli alberi che vengono rilasciati dal taglio (matricine), esposti improvvisamente all’impatto della luce sul fusto e al repentino cambiamento del microclima forestale umido e ombreggiato; durante i periodi caldi e aridi, oggi sempre più lunghi e intensi, gli alberi rimasti isolati sono sottoposti a stress molto forti e diventano sempre più vulnerabili ai patogeni opportunisti.
Il taglio ceduo applicato su alberi che hanno superato la fase giovanile e hanno raggiunto età prossime ai 50 anni ha inoltre come effetto per molte specie quello di indebolire la pianta, che non riesce a riprendersi a causa della ridotta facoltà pollonifera.
Per tutti questi motivi è prioritario che la gestione a ceduo debba essere fortemente ridimensionata, sia a livello regionale (vedi punto 1), sia prevedendo delle regole ben precise sulle superfici nelle quali questa pratica verrà ancora attuata. Riconosciamo infatti il ruolo che può avere il ceduo per produrre legna combustibile per i fabbisogni locali delle comunità rurali e montane, ma tale pratica deve comunque impostarsi su regole che rendano meno impattante il taglio. Tra queste regole proponiamo le seguenti:
ridurre la superficie delle tagliate a un massimo di 5 ettari, per limitare la scopertura del suolo;
garantire il mantenimento in bosco di una provvigione minimale, cioè di una dotazione minima di fitomassa legnosa (alberi e arbusti) necessaria a garantire la stabilità ecologica dell’ecosistema: sono pertanto da escludere i tagli a raso;
garantire una struttura diversificata del popolamento, rilasciando anche isole di biodiversità accanto ad una matricinatura più intensa e composta da alberi più grandi, proponendo come livello di minima tutela ambientale il ceduo composto;
tutelare adeguatamente le pertinenze idrauliche dei corsi d’acqua, gli stagni, le risorgive, le cavità carsiche, le zone umide, i grandi alberi e ogni altro elemento di diversità del paesaggio forestale, prevedendo intorno ad essi idonee fasce di rispetto o consentendovi solo una gestione a fustaia irregolare;
rilasciare un adeguato numero alberi morti per ettaro, sia in piedi che a terra, per favorire la fauna e le capacità di assorbimento idrico e di carbonio del bosco;
rilasciare in bosco la ramaglia risultante dal taglio, al fine di conservare la fertilità del suolo (essendo la parte della pianta più ricca di sostanze minerali), di aumentarne il contenuto in sostanza organica e quindi in carbonio, e di proteggere dall’erosione; la auspicata minore intensità dei tagli nei boschi cedui contribuirà ad evitare gli accumuli eccessivi di ramaglia che risultano oggi dai tagli a raso, e che provocano spesso danni al sottobosco, impercorribilità della sentieristica e aumento del rischio incendio;
tutelare il sottobosco evitando lo schiacciamento causato dall’eccessiva deposizione di scarti non commerciabili;
riconoscere l’importanza conservazionistica di alcune tipologie forestali in base alla loro particolarità e/o alla rarità regionale o locale e prevedere le necessarie tutele (ad esempio, boschi con habitat e specie di interesse comunitario, tipologie forestali rare come frassineti, ontaneti, boschi con faggio a basse quote, boschi con farnetto, farnia ecc.);
valutare, anche sulla base delle pendenze di versante, del rischio frana e della tipologia di suolo e di vegetazione, la necessità di ulteriori limitazioni per evitare dissesto idrogeologico.
4. Tutelare la vegetazione lungo i corsi d’acqua
La vegetazione lungo i corsi d’acqua, grandi o piccoli che siano, ha un ruolo fondamentale nel territorio, perché conserva la risorsa acqua, ospita habitat e specie ormai rari, e rende questi ecosistemi i “corridoi ecologici” per eccellenza. Nonostante ciò, tanti tagli segnalati sul sito di Forests for Life Toscana riguardano proprio corsi d’acqua, e molti interventi di questo tipo vengono normalmente autorizzati ogni anno dalle Unioni dei Comuni, aggiungendosi ai tagli per la “sicurezza idraulica” eseguiti dai Consorzi di Bonifica, spesso già di per sé assai impattanti.
Gli alvei e le sponde dei corsi d’acqua sono ecosistemi fragilissimi estremamente sensibili all’invasione biologica da parte di specie vegetali alloctone eliofile (cioè amanti della luce), altamente competitive. Quando si taglia o dirada la vegetazione ripariale, quasi sempre essa subisce l’invasione di piante “terribili” come Ailanto, Robinia, Amorpha fruticosa, Buddleja davidii, Arundo donax ecc. che determinano una perdita grave e praticamente irreversibile di naturalità. I tagli di “controllo” della vegetazione ripariale sono una delle cause principali della colonizzazione sempre più diffusa delle sponde dei nostri fiumi da parte di queste specie: è una spirale, perché più le sponde vengono “controllate” e “mantenute” (= tagliate), più le specie alloctone si diffondono e si espandono, anche lateralmente e oltre la fascia riparia.
Nelle grandi tagliate a raso dei boschi cedui, oltre al deserto di alberi determinato dal taglio, non vengono risparmiate nemmeno le fasce ripariali lungo i corsi d’acqua, togliendo agli organismi acquatici rifugi e ombreggiatura e aumentando la velocità della corrente con conseguente aumento del rischio idraulico. Inoltre, non è infrequente che gli scarti del taglio finiscano proprio in impluvi, ruscelli e fiumi, alterandone gli habitat e andando a costituire un pericolo nel caso di forti precipitazioni. Altra paradossale anomalia toscana sono i boschi lungo i corsi d’acqua ricadenti in demanio idrico (quindi beni pubblici a tutti gli effetti) che vengono tranquillamente dati in gestione ai privati per il taglio, nonostante per essi la norma nazionale (Decreto Legislativo n. 152/2006, art. 115) spinga verso la tutela e la riqualificazione.
La normativa forestale regionale quindi, se in teoria tra i suoi principi tutela la biodiversità, nella pratica non riconosce il valore dei boschi lungo i corsi d’acqua: la legge forestale regionale 39/2000 incentiva addirittura interventi di miglioramento delle formazioni riparie (art. 17 comma e), ma se leggiamo il suo regolamento di attuazione, le specie più caratteristiche dei corsi d’acqua (pioppi, ontani e salici) sono considerate specie di serie B, e ne è previsto il taglio ceduo anche ogni 8 anni senza rilascio di matricine o, in caso di fustaie, il taglio è permesso ogni 20 anni.
Per questo chiediamo che la normativa cambi e tuteli in modo assoluto tutti i corsi d’acqua e la vegetazione delle loro pertinenze, per il loro insostituibile ruolo di corridoi ecologici; non lo dice solo il WWF ma la stessa Regione Toscana nel suo Piano Paesaggistico, che a quanto pare viene ignorato dal settore forestale. Aggiungiamo anche che molti ecosistemi forestali ripari (pioppo-saliceti, ontanete, boschi alluvionali con farnia ecc.) sono habitat di interesse comunitario, in alcuni casi anche prioritari, e come tali protetti sempre dalla stessa Regione, con la L.R. 30/2015 (art. 81).
È ora quindi che la normativa forestale venga aggiornata anche su questi aspetti, prevedendo larghe fasce di rispetto delle pertinenze idrauliche dei corsi d’acqua di maggior interesse conservazionistico e consentendo al massimo il governo a fustaia disetanea con taglio a scelta colturale nel resto del reticolo idraulico, tale da mantenere comunque una copertura ben sviluppata e assicurare la funzionalità ecologica.
5. Basta incentivi alle biomasse e ad altri incentivi perversi
Gli incentivi all’utilizzo di biomasse legnose ad uso energetico sono stati uno dei maggiori freni dell’evoluzione del settore forestale, creando una economia malata che porta solo danno agli ecosistemi forestali e nessun vantaggio a livello energetico e climatico. Per tale motivo devono essere assolutamente bloccati tutti gli incentivi, diretti e indiretti, alle biomasse da fonti primarie e progressivamente chiusi i grandi impianti a combustibile legnoso che fagocitano le foreste toscane per il vantaggio di pochi con i soldi di tutti. Potranno al contrario essere ancora considerati sostenibili i piccoli impianti locali purché alimentati con prodotti legnosi secondari per un minimo dell’80% della loro capacità.
Analogamente, gli incentivi forestali regionali non dovrebbero essere indirizzati ad aumentare ulteriormente la domanda di biomassa energetica né a favorire ancora forme di gestione che da tempo mostrano elevate criticità, ma piuttosto dovrebbero essere impiegati per il miglioramento e il restauro delle foreste, accompagnando la conversione ad alto fusto e accrescendo la professionalità e il valore ambientale e economico del settore forestale regionale.
6. Conservazione e restauro delle foreste nelle aree protette, maggiore tutela nei siti della Rete Natura 2000 e protezione degli ultimi boschi vetusti
I boschi nelle aree protette, compresi quelli nella rete Natura 2000, devono poter assolvere pienamente la loro funzione di conservazione della biodiversità e, per questo, necessitano di una pianificazione naturalistica e di un regime di gestione particolare. Le attività di gestione devono prevalentemente mantenere o migliorare gli aspetti conservazionistici e la gestione sostenibile deve adottare un approccio precauzionale e prudenziale, per evitare il rischio che interventi sbagliati si aggiungano ai sempre maggiori stress climatici che le foreste stanno affrontando.
Per tale motivo all’interno dei siti Natura 2000 il governo a ceduo dovrebbe essere limitato a specifiche esigenze di mantenimento di particolari habitat e specie, favorendo l’avviamento ad alto fusto su tutte le altre superfici forestali e individuando boschi ad invecchiamento illimitato su almeno il 15% delle foreste di ciascun sito. Tali boschi potranno essere inseriti in un circuito virtuoso di economia da crediti di carbonio e crediti di biodiversità, in modo da non penalizzare i proprietari.
Le aree boscate che rientrano nei siti della Rete Natura 2000 dovranno inoltre usufruire di specifici vantaggi economici di sviluppo del turismo lento e di economia naturalistica volta alla preservazione di alberi monumentali, boschi vetusti o potenzialmente vetusti, fasce riparie di particolare importanza ecologica, creazione di programmi di sviluppo di attività secondarie legate al bosco e attività di didattica ambientale. I fondi potranno essere in parte ricavati anche dal Piano di Sviluppo Rurale o da bandi specifici di portata regionale e nazionale.
In risposta agli obiettivi della nuova Strategia europea per la Biodiversità di aumentare le aree sottoposte a tutela, accogliamo positivamente il fondamentale progetto da poco avviato dalla Regione per l’individuazione dei boschi vetusti, ma è necessario anche che in parallelo si proceda alla mappatura degli habitat forestali più fragili e rari ancora presenti sul territorio, includendoli in aree protette o comunque tutelandoli prima che vengano irrimediabilmente compromessi da interventi selvicolturali inappropriati (vedi anche proposta n. 11).
7. Obbligo di progetto di taglio e di direttore lavori per il taglio raso oltre 1 ettaro
Oggi la gestione dei tagli forestali è quasi sempre attuata senza figure professionali e la normativa prevede forme molto spinte di semplificazione anche per i tagli più impattanti; per molti interventi è infatti sufficiente una comunicazione/dichiarazione, che può essere compilata direttamente dal proprietario o dalla ditta boschiva, senza un tecnico forestale. La redazione di specifici progetti di taglio è limitata a pochissimi casi (basti pensare che secondo le statistiche regionali nel 2019 la superficie forestale interessata da progetti di taglio è stata di soli 343 ettari, su un totale di oltre 10.000 ettari di richieste di taglio!).
Per contro, in altri settori come l’edilizia, ai normali cittadini viene richiesta documentazione asseverata o progetti specifici per interventi di entità assai minore.
Chiediamo quindi che almeno per i tagli a raso di oltre un ettaro nel bosco ceduo sia necessario un direttore dei lavori abilitato (professionista forestale) e un progetto di taglio che specifichi le caratteristiche del bosco, la tipologia di taglio da attuare, la provvigione ritraibile e la provvigione minimale da rilasciare in bosco, le eventuali piste di esbosco, le eventuali peculiarità naturalistiche da conservare. Questo anche al fine di facilitare i controlli durante e dopo il taglio.
In parallelo, è necessaria una crescita professionale degli addetti ai lavori in bosco, finalizzata anche a comprendere meglio gli ecosistemi forestali e la loro biodiversità, oltre che a migliorare la sicurezza sui luoghi di lavoro.
8. Maggiore presenza sul campo degli enti che autorizzano gli interventi forestali
Sono necessari maggiori controlli preventivi al rilascio delle autorizzazioni: gli enti devono sapere cosa stanno autorizzando e prevenire possibili danni. La sensazione è che le autorizzazioni siano date a tavolino senza verificare sul campo la specificità dei boschi interessati. Conoscere le caratteristiche di un bosco prima del taglio è fondamentale anche per permettere agli organi controllo di svolgere adeguatamente il loro lavoro durante e dopo il taglio.
9. Sanzioni più alte per i tagli illegali e commisurate all’estensione ed alla gravità del danno
L’illegalità va combattuta sia con controlli frequenti e accurati dei cantieri forestali sia con la crescita della qualità professionale degli operatori, ma anche con l’inasprimento delle sanzioni, che dovrebbero tener conto del danno ecologico e ambientale effettivo.
A tale proposito chiediamo: l’aumento del 100% della quota di tutte le sanzioni che riguardano il danneggiamento di alberi vetusti o monumentali, le inadempienze dei cantieri forestali, il mancato rispetto delle prescrizioni ricevute in ambito di aree protette e siti della Rete Natura 2000. Per danni particolarmente rilevanti effettuati in aree protette e tutelate o in proprietà pubbliche, chiediamo che si applichi almeno di prassi il già previsto sequestro amministrativo del legno illecitamente ottenuto, e il sequestro dei mezzi utilizzati per la realizzazione di condotte vietate, come l’apertura di piste per il transito dei mezzi non autorizzate, la trasformazione dei sentieri in piste, ed altri illeciti che modificano profondamente lo stato dei luoghi.
Chiediamo inoltre che vengano individuati meccanismi per responsabilizzare le ditte e i tecnici forestali (come fidejussioni, “patenti a punti” per gli illeciti, sospensione temporanea dall’attività ecc.).
10. Gestione naturalistica del patrimonio forestale pubblico
I boschi demaniali, siano essi comunali, provinciali o regionali, devono rimanere tali e, se possibile, crescere in estensione. Devono mantenere il loro carattere di bene comune e di conseguenza non essere assoggettati a tagli che abbiano un impatto sui loro servizi ecosistemici, sulla biodiversità e sulla funzione di serbatoi di carbonio. Le loro finalità prioritarie dovrebbe essere la tutela dell’ambiente, del paesaggio e delle risorse naturalistiche e culturali; dovrebbero contribuire prioritariamente agli obiettivi di mitigazione del cambiamento climatico e di conservazione della biodiversità, orientando la gestione verso una netta prevalenza del bosco d’alto fusto, unita ad alte percentuali di bosco a conservazione. Nelle parti soggette a utilizzazione, riteniamo che la selvicoltura debba essere caratterizzata da alte provvigioni e da utilizzazioni estensive, evitando ogni tipo di taglio a raso.
11. Promuovere la creazione/diffusione di database del patrimonio naturalistico regionale
I tagli segnalati dai cittadini nel sito del progetto Forests for Life Toscana hanno mostrato interventi che, se pur autorizzati, hanno stravolto boschi di elevato pregio naturalistico (come ontanete lungo i corsi d’acqua, boschi relitti o eterotopici, boschi con risorgive e altre zone umide), hanno eliminato o degradato siti riproduttivi di anfibi, alterato siti di nidificazione, compromesso corridoi ecologici. Tutto questo perché, al di fuori di aree protette e siti Natura 2000, non c’è conoscenza della natura diffusa sul territorio e non ci sono collegamenti della normativa forestale con le normative di settore riguardanti la biodiversità e il paesaggio nella sua componente ecosistemica.
Una maggiore conoscenza dell’ecologia forestale è necessaria anche per considerare gli effetti del cambiamento climatico e portare avanti una gestione adattativa: non vogliamo più vedere tagli che sono un vero e proprio suicidio per il nostro futuro in termini di perdita del capitale di biodiversità, di compromissione della capacità di accumulare carbonio e, in ultimo, anche di perdita del valore economico che le foreste rappresentano.
Alla luce di ciò, chiediamo che la Regione si impegni nella creazione di un database geografico contenente la mappatura delle emergenze naturalistiche meritevoli di conservazione come habitat e specie protette e/o rare, non solo all’interno delle aree protette, ma in tutto il territorio regionale. Questo anche aggiornando adeguatamente il Repertorio Naturalistico Toscano creato con lungimiranza dalla Regione oltre 20 anni fa ma non più aggiornato né esaustivo, alla luce degli impegni attuali in materia di biodiversità.
12. Maggiore partecipazione nelle scelte di gestione delle foreste a livello locale
Deve essere sviluppata e applicata concretamente una pianificazione forestale territoriale partecipata con tutti i portatori d’interesse, comprese le organizzazioni di protezione della natura, affinché tutte le parti lavorino insieme per stabilire strategie di gestione del bene forestale per aree vaste omogenee.
Deve essere assicurata la partecipazione alla formazione dei Piani di gestione del patrimonio forestale pubblico, dei piani forestali di indirizzo territoriale previsti dal Testo unico forestale e degli altri piani forestali di area vasta, assicurandone al contempo a tutti i livelli le necessarie valutazioni ambientali, senza scorciatoie.
A livello locale le “Comunità del Bosco” riconosciute dalla legge forestale regionale, devono analogamente garantire una più ampia partecipazione per perseguire anche altre finalità di interesse generale oltre a quelle della “gestione attiva”, attualmente non previste.
13. Promuovere la certificazione forestale
La certificazione di gestione forestale responsabile (in particolare la certificazione FSC), possibile anche per raggruppamenti di piccoli proprietari, deve essere promossa e incentivata dalla regione, compresa la certificazione delle catene di custodia nell’ambito di una filiera del legno locale/regionale.
Gli organismi di certificazione dovrebbero adeguarsi in toto alla gestione forestale sostenibile, e quindi non dovrebbero certificare gestioni che non rispettano il principio dell'uso del legno a cascata, finalizzate cioè alla produzione di assortimenti da combustione. Dovrebbero anche escludere quei trattamenti che non permettono il naturale sviluppo dinamico del bosco, come il taglio a raso.
14. Più informazioni, trasparenza e dati a disposizione dei cittadini e delle associazioni
Il reperimento di dati sui tagli forestali in Toscana non è semplice: sui siti istituzionali degli enti che autorizzano (Unioni dei Comuni, Comunità Montane ecc.) non sempre sono disponibili gli atti autorizzativi né vengono fornite informazioni statistiche periodiche.
Per la redazione di questo report abbiamo chiesto alla Regione Toscana una serie di dati aggiornati sui tagli forestali nel territorio regionale, ma ci è stato risposto che la ricerca di tali dati è troppo laboriosa per gli uffici.
Gli ultimi dati sugli utilizzi forestali disponibili pubblicamente per la Toscana sono del 2019, e basati non sugli utilizzi reali ma sulle domande di taglio presentate (vedi capitolo 4).
La Regione Toscana non è tuttavia la sola regione a non avere una banca dati sulle attività forestali aggiornata costantemente e facilmente consultabile, anzi pochissime regioni la possiedono.
Il WWF Italia, nelle consultazioni per l’approvazione della Strategia Forestale Nazionale, ha chiesto al Ministero questi impegni (WWF Italia, 2020):
dare la massima priorità a attuare una raccolta dati omogenea su tutto il territorio, vincolando i finanziamenti alle regioni a questo prioritario adempimento;
operare una validazione dei dati inviati dalle regioni, anche tramite confronto con foto satellitari ed altre tecnologie che permettano di avere un controllo sul dato reale;
rendere trasparente e di facile consultazione anche da parte del pubblico la banca dati nazionale SIFOR, nella quale confluiranno i dati regionali;
facilitare l’utilizzo della banca dati SIFOR ai soggetti sottoposti alla sorveglianza (Carabinieri Forestali ecc).
Chiediamo alla Regione Toscana di farsi portavoce a livello nazionale di queste necessità e di impegnarsi direttamente e velocemente per migliorare il suo sistema di raccolta dati e renderlo trasparente ai cittadini, che vi dovrebbero trovare piani forestali, autorizzazioni rilasciate, controlli eseguiti ecc.
Senza queste informazioni a disposizione di tutti, rimarranno sempre ombre sul settore forestale, e rimarrà difficile per i cittadini credere in qualsiasi politica di sostenibilità.
15. Regolamentazione dei mezzi di esbosco e tutela della rete sentieristica e stradale storica
In molte segnalazioni ricevute dalla popolazione e dalle associazioni del territorio toscano è emerso il grave problema dell’uso massiccio di mezzi meccanizzati di grandi dimensioni e la conseguente devastazione di sentieri, strade poderali, ma anche tracciati storici e strade pubbliche. A questo si aggiunge che, in diversi contesti, l’utilizzo di tali macchinari ha prodotto evidenti danni al suolo e alla vegetazione non oggetto di taglio, provocando impatti gravi all’habitat forestale, di cui non si è in grado di valutare le conseguenze sul lungo periodo.
I processi erosivi e di compattazione dei suoli prodotti da macchinari che, a pieno carico, possono pesare oltre i 200 quintali, sono assolutamente devastanti e contrari ad una gestione ecosostenibile della risorsa boschiva. Abbiamo assistito più volte a interi tratti di sentiero o di strada forestale ridotti in polvere dalle catene che vengono montate sui mezzi di esbosco, con aumento della torbidità delle acque dei corsi d'acqua limitrofi e disagi per gli escursionisti. Inoltre, in alcuni casi gli scarti del taglio sono stati accumulati proprio direttamente sui sentieri rendendone molto difficile, se non del tutto impossibile, la fruizione.
Chiediamo dunque una maggiore regolamentazione dell’uso di tali mezzi e della disposizione degli scarti del taglio in relazione alla viabilità, ed in particolare chiediamo la massima tutela per la rete sentieristica regionale, per i sentieri comunali, i sentieri CAI, le vie di cammino (Via Francigena, Via Romea Sanese, GEA, Sentiero Italia, ecc.) e i sentieri storici ancora non segnalati ma consolidati nell’uso da secoli, come la viabilità vicinale e storica riportata nelle carte catastali attuali, i tracciati censiti nei catasti storici regionali ottocenteschi (es. il catasto leopoldino), messi a disposizione pubblica dalla stessa Regione Toscana.
Tali percorsi, per il loro interesse pubblico, debbono essere assolutamente preservati dal taglio boschivo e da ogni passaggio di mezzi meccanizzati che possa creare un impatto, devono altresì essere mantenuti in piedi tutti gli alberi che presentino tracce della segnaletica e, per i percorsi di maggior rilievo turistico deve essere creato un divieto di taglio entro i 10 metri dal percorso stesso, in modo da preservare le caratteristiche di copertura e ombrosità del sentiero e da permetterne l’accesso e la fruizione in ogni periodo dell’anno. Deve essere fatto divieto all’utilizzo di mezzi meccanici di grandi dimensioni su pendenze superiori al 15%, all’interno di impluvi, in periodi di forte piovosità e su suoli profondi costituiti da silt o argille, dove il solco prodotto potrebbe costituire un danno permanente. Per ciò che concerne la produzione di cippato o di altri prodotti di lavorazione secondaria degli alberi abbattuti, esso deve avvenire esclusivamente in impianti regolarmente autorizzati e mai in bosco, se non per il rilascio sul posto degli scarti triturati per mantenere la fertilità del suolo.
16. Gestione naturalistica degli interventi selvicolturali in funzione della tipologia forestale
Il patrimonio forestale regionale è, per ovvi motivi, estremamente eterogeneo e, in funzione delle condizioni pedoclimatiche, le diverse tipologie forestali possono farsi via via più comuni o più rare. Inoltre, vi sono altre tipologie forestali che risultano rare o rarissime in tutto il territorio regionale. Pertanto, riteniamo che il fatto di non tener conto di tali fattori in fase di autorizzazione al taglio rappresenti una gravissima lacuna della normativa regionale che non può che portare al disastroso risultato di rendere ancora più rare, o addirittura a far scomparire queste tipologie forestali. Alla luce di ciò, riteniamo che si dovrebbero introdurre norme che regolino in modo preciso l’autorizzazione al taglio boschivo tenendo in considerazione proprio l’importanza conservazionistica delle tipologie forestali in base ai criteri summenzionati.
Dalla parte opposta vi sono i rimboschimenti con specie alloctone e conifere, aliene o meno, eseguiti nel secolo scorso, che hanno contribuito allo stravolgimento del panorama vegetale di molte aree. In alcuni di questi casi, pensiamo che potrebbe essere presa in considerazione la possibilità di accelerare la loro naturale soccombenza prevedendo interventi mirati con tagli a scelta, sempre nel pieno rispetto della vegetazione autoctona circostante, al fine di facilitare la ricolonizzazione da parte delle specie autoctone.
17. Riconoscimento dei boschi come fornitori di servizi ecosistemici fondamentali
Nonostante alcuni buoni intendimenti, a conti fatti, ciò che prevede la normativa regionale finisce per tutelare quasi esclusivamente lo sfruttamento economico del patrimonio forestale. Premesso che riteniamo sacrosanta la difesa della proprietà privata e del diritto di ottenere un reddito nei casi e nei modi previsti dalle normative vigenti, non è possibile dimenticare la notevole importanza del patrimonio naturalistico regionale, compreso il patrimonio forestale, nel fornire una serie di benefici o “servizi” ecosistemici fondamentali per la collettività e per la conservazione della natura. Al riguardo, esiste un corpus letterario in cui è stato quantificato in termini monetari il valore di tali servizi ecosistemici che, in molti casi, è risultato ben maggiore rispetto al valore del legname che si può ottenere. Pertanto, riteniamo indispensabile che venga introdotta la quantificazione monetaria del valore dei boschi regionali in funzione dei servizi ecosistemici forniti come una delle basi sulle quali andare a sviluppare nuovi strumenti normativi che superino la visione, ormai antiquata, secondo la quale l’unico valore economico di un bosco risiede nello sfruttamento del legname.
18. Regolamentare gli effetti cumulativi dei tagli
Non è infrequente che la pratica del taglio boschivo a scopo economico venga eseguita su superfici boscate attigue in un arco relativamente ristretto di tempo. Il risultato è che alcune zone finiscono per presentare una superficie boscata recentemente tagliata e/o in fase di rigenerazione post-taglio su un’ampia percentuale della loro estensione. Ciò non può che andare a influenzare in modo molto negativo tutta l’ecologia di aree anche molto vaste. Alla luce di ciò, pensiamo che sia auspicabile andare a regolamentare le autorizzazioni al taglio a livello di comprensorio in modo più rigido in funzione di ciò che è stato già tagliato nelle sue vicinanze all’interno di un arco di tempo ben preciso. In questo può essere utile anche la pianificazione forestale comprensoriale.
19. Introdurre una moratoria al taglio boschivo da reddito nelle aree disastrate
Il verificarsi nel contesto regionale di eventi come gli incendi distruttivi che possono essere facilitati da estati molto calde e secche è, purtroppo, ben noto a tutti. In alcuni casi gli incendi comportano l’azzeramento di ampie superfici coperte da vegetazione con tutti i problemi che ne conseguono a livello ecologico e di sicurezza. Lo stesso succede con le calamità naturali, sempre più frequenti, come tempeste di vento, ondate di calore, ecc. Sfortunatamente, nella normativa regionale non è prevista alcuna regolamentazione specifica per i tagli boschivi da reddito in contesti che hanno subito eventi che hanno comportato la distruzione di parte del patrimonio naturalistico.
Eppure ci risulta intuitivo come proprio i tagli boschivi non possano che ulteriormente andare a peggiorare la situazione nei casi in cui si sono verificati tali eventi.
Per questo motivo riteniamo necessario computare le superfici colpite da incendi boschivi e calamità naturali tra le aree interessate da utilizzazioni forestali, sia nella pianificazione forestale che nella concessione di autorizzazioni.
In questi casi, i proprietari delle particelle boscate interessate dovrebbero poter beneficiare di specifiche forme di compensazione in funzione dei benefici ecosistemici che il mancato taglio contribuisce a recuperare.
20. Attenzione alle specie vegetali invasive
Uno degli effetti negativi dei tagli a raso, come abbiamo visto, è l’ingresso di specie invasive sulla superficie libera lasciata dal taglio.
Per limitare l’espansione sempre più massiccia e aggressiva delle specie legnose alloctone invasive, che modificano gli habitat e causano il declino di numerose specie autoctone, è importante che quando si taglia il ceduo in zone dove sono già presenti specie invasive vicine all’area di taglio, venga lasciato un margine di alcune decine di metri di vegetazione forestale naturale, possibilmente densa, che separi lo spazio aperto della tagliata dai nuclei invasivi.
Questo “margine” o “setto di separazione forestale” consente di ostacolare e limitare l’ingresso delle specie alloctone, soprattutto per via radicale, nell’area aperta dal taglio e quindi di andare a fare concorrenza alle specie autoctone che devono ricacciare i polloni dalla ceppaia. L’accrescimento delle invasive è infatti sempre rapidissimo, cosicché queste riescono a occupare suolo e spazio aereo (luce) prima che le autoctone riescano a ricrescere e ricostituire il bosco. Una volta che questa invasione è avvenuta, la parte di bosco tagliato ed invaso è compromessa praticamente per sempre.
Questa misura sarebbe soprattutto importante lungo le strade e vicino alle aree aperte, dove le invasive sono spesso già presenti e pronte a espandersi non appena si va a tagliare il bosco naturale circostante.